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“Il silenzio della solitudine”: le riflessioni di Antonio Nania in un libro delle Edizioni Carello
Carello Editore ha di recente dato alla stampa un interessante libro di cui è autore Antonio Nania dal significativo titolo “Il silenzio della solitudine”. Antonio Nania, già Avvocato Coordinatore della Struttura Legale Complessa dell’Azienza Ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro, è persona colta, garbata, umanamente sensibiile e cristianamente disponibile, impegnata nel sociale; presidente nazionale della Consolidal, associazione di promozione sociale, ma si è sempre distinto e fatto apprezzare anche in altri organismi associativi come il Movimento Cristiano Lavoratori e Amnesty International, l’Associzione Ambientalista Accademia Kronos. Le sue doti umane e cristiane le ha sempre profuse nel lavoro, nella famiglia e nella società. Nel firmare questo volumetto si qualifica come avvocato, padre e nonno, probabilmente intendendo racchiudere in questi appellativi la sua vita nel lavoro e nella società e gli affetti delle persone più care. Il testo contiene diverse e profonde riflessioni e lascia trasparire emozioni, sentimenti, stati d’animo che nascono da vita vissuta, da momenti in cui, come a volte capita, nascono dubbi, perplessità sul proprio essere e che portano malinconia e tristezza ma che, sono proprio questi momenti, ad aiutarci a riprendere forza e ripartire con maggiore vigore il nostro cammino terreno. Dalle riflessioni scaturite dalle frasi, cariche di sensibilità e affetto del piccolo nipotino che portano il nostro autore a una introspezione profonda e un po’ malinconica, alla fine ne scaturisce una presa di coscienza, una maggiore forza per andare avanti e che nasce dal sapere “ascoltare le parole che ci fanno vivere”, cercando sempre Dio intorno a noi “nel silenzio della solitudine”. E’ questa la conclusione a cui arriva. In effetti la solitudine e il silenzio che la circonda è un’esperienza universale che se non viene accolta e vissuta consapevolmente porta a stati di sofferenza e depressione con perdita d’interesse per le cose, le persone e la vita stessa. Basti pensare a grandi poeti, scienziati che hanno potuto creare opere immortali solamente rielaborando la propria vita nel silenzio della solitudine, un silenzio inconciliabile con un chiacchiericcio sterile ed evanescente privo di consistenza ed autenticità, che spesso diventa scambio di parole inutili tra coloro che temono l’idea di percepirsi drammaticamente soli. Occorre attraversare la solitudine non come un percorso che ci isola, ci allontana dall’esperienza affettiva, ma come una condizione in cui ci arricchiamo di nuove prospettive e conoscenze in vista di un momento successivo di comunione con l’altro. E’ giunto il momento di ricercare il silenzio della solitudine stessa come momento di purificazione, nell’accettare di viverla anche quando essa è tensione drammatica, inquietudine e angoscia. Spesso temiamo la solitudine e vogliamo fuggirla. Invece, più fuggiamo la solitudine, più essa assume caratteri di un esilio angosciante. Il cammino che conduce alla ricerca di noi stessi prende inizio da un sentimento di solitudine archetipica, un sentimento di solitudine universale che non risparmia nessuno.
Chiunque fugge dalla propria solitudine cercando di anestetizzarsi nel lavoro, nel cibo, nei rapporti centrati sul controllo, non potrà che incontrare una solitudine che produce sofferenza. Per unirsi a qualcuno nell’autenticità della relazione, bisogna aver sperimentato la solitudine. Per amare bisogna imparare a sopravvivere da soli. Nessun percorso di crescita interiore può scaturire in chi fugge la “Solitudine esistenziale”. E’ necessario allora ricordare che la solitudine non può essere evitata, ma attraversata, vissuta, elaborata, affinché da luogo angoscioso e disperante, si trasformi in luogo di approdo e di pacificazione, di ascolto e di conoscenza di sé, di dolce nostalgia e anelito all’immaginazione verso qualcosa di ulteriore che non è qui e non ci appartiene. Solo così sapremo che è possibile sopravvivere al silenzio della solitudine e sapremo che dalla solitudine si può riemergere e che nell’infinita compassione di Dio possiamo godere della solitudine poiché in essa non siamo stati dimenticati. “A ben riflettere, – come afferma Antonio Nania – il silenzio che ho trovato nella solitudine non è, come si può pensare, assenza di rumori, di chiacchiericcio, di suoni, di canti. La comunicazione non si esaurisce nel silenzio perché non si esaurisce la capacità dell’ascolto”. Solo chi sa attraversare una solitudine non solitaria al mondo può celebrare la bellezza della vita. La solitudine, il rifuggiarsi nella solitudine non deve essere un fuggire dalla vita, come lo stesso Nania riconosce dicendo:”Il mio non è stato uno scappare dalla realtà perché non serve e non si è affievolita la capacità di buttare il cuore oltre quel muro che spesso ci divide dal prossimo”. Solo chi sa amare e ha spezzato le catene della dipendenza può vivere la ricchezza della solitudine e in essa trovare vitalità e speranza, guardando la bellezza che ci circonda cercando Dio, come conclude Antonio Nania il suo scritto, “davanti, di lato e dietro di noi, in cielo e in terra….e vedere le cose che ha fatto, soprattutto nel silenzio della solitudine”
Luigi Bulotta