“Il giardino invisibile” pedagogia, psicospiritualità e neuroscienza a servizio dei più deboli – intervista all’avv. Luca Muglia

 “Il giardino invisibile” pedagogia, psicospiritualità e neuroscienza a servizio dei più deboli – intervista all’avv. Luca Muglia

a cura di Serenella Pesarin*

A colloquio con Luca Muglia, avvocato esperto in diritto minorile, responsabile di laboratori scientifici e aree di ricerca sulle neuroscienze forensi, già presidente dell’Unione Nazionale Camere Minorili, attualmente giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, autore del volume “Il giardino invisibile. Terapia psicospirituale per giovani in difficoltà”, Compagnia editoriale Aliberti, 2020.

Luca Muglia


Muglia, nel suo libro, individua una terapia psicospirituale rivolta a chi vive una condizione di fragilità, suggerendo un cammino introspettivo che riconduce all’infanzia del cuore sperimentata nel giardino dell’Eden. Il piano di intervento, che recepisce la psicologia del cuore dei Padri del deserto e il contributo delle neuroscienze, si propone di sanare le malattie dell’anima, contrastando i pensieri negativi. Ed è qui l’originalità di questo libro. Le ispirazioni dell’Oriente cristiano sono rimodulate in funzione delle dipendenze che affliggono l’uomo post-moderno: internet, gioco d’azzardo, smartphone, cibo, sesso, lavoro, shopping compulsivo. L’autore affronta anche il tema dell’educazione alla fede nei luoghi di detenzione, divulgando i risultati del progetto innovativo realizzato presso l’Istituto Penale Minorile di Catanzaro.

Il libro di Muglia volge lo sguardo all’universo popolato dagli adolescenti post-moderni, di cui analizza le fragilità e le principali difficoltà rapportando le stesse alla globalizzazione della rete. L’autore affronta, altresì, il tema dell’educazione alla fede dei ragazzi in difficoltà, divulgando i risultati di un progetto innovativo realizzato presso l’Istituto Penale Minorile di Catanzaro. Nel tentativo di trovare la pace del cuore si passa dall’educazione dell’anima alle terapie psicospirituali ispirate dai Padri del deserto, la cui efficacia viene convalidata – secondo Muglia – dagli studi delle neuroscienze moderne.

Serenella Pesarin

Innanzitutto una curiosità: come nasce il titolo di questo libro, così particolare e intrigante?

Il titolo prescelto evoca il giardino dell’Eden, il luogo in cui Dio collocò l’uomo che aveva plasmato. Il riferimento al giardino incantato assume un significato spirituale e metaforico, che va al di là dell’ambiente fisico o geografico. Si tratta di un luogo interiore in cui l’essere umano, oltre a gustare le meraviglie del creato, gode di uno stato di pace e serenità che provengono da Dio. L’Eden, quindi, come uno stato dell’essere, come luogo in cui l’anima e il corpo sono in perfetta simbiosi in quanto aderiscono alle indicazioni dello spirito. Il giardino dell’Eden, dunque, è un’immagine simbolica che evoca il paradiso perduto e, nello stesso tempo, il paradiso che un giorno potrà essere ritrovato. Attraverso l’evoluzione spirituale ci si può riappropriare di questo stato primitivo dell’essere. Si consideri che i bambini conservano l’innocenza del cuore e percepiscono, più di ogni altro, il mondo nascosto che conduce al giardino invisibile. L’anima infantile, infatti, è capace di cogliere i segni della presenza di Dio, percependo il richiamo del giardino dell’Eden. Una volta immersi nei rumori della vita anche i bambini finiscono per smarrire, purtroppo, quel dolce e meraviglioso ricordo.

Nella parte iniziale il volume offre uno spaccato del mondo giovanile, offrendo un’analisi approfondita delle loro difficoltà e dei loro disagi. Cosa è cambiato negli ultimi anni, qual è l’elemento di novità?

Ho provato ad enucleare i malesseri e le fragilità dei giovani del terzo millennio, muovendo dalla mia esperienza professionale quotidiana. Sono diversi gli aspetti segnalati: la deprivazione sociale nei ghetti delle periferie urbane, la marginalità affettiva nelle famiglie medio-borghesi, la solitudine dei giovani imprigionati dal mondo virtuale. E poi nuovi inquietanti fenomeni quali i tagli sul corpo, i giochi di morte (blue whale), le gare di velocità, i sassi dal cavalcavia, i reati commessi in rete (sexting, grooming, revenge porn), gli atti di bullismo del branco ripresi con l’ausilio di smartphone, i delitti delle baby gang formate dai ragazzi “per bene”, la crisi familiare e le condotte violente degli adolescenti ai danni dei genitori (naturali o adottivi). Oltre alle dipendenze tradizionali (da sostanze stupefacenti e alcol) avanzano le cosiddette new addictions, e cioè ludopatia, gioco d’azzardo, internet-mania, relazioni patologiche con il cibo, shopping compulsivo, abuso di farmaci. Venendo alla sua domanda, esiste un elemento di novità che attanaglia e accomuna i giovani di oggi: la crisi di identità, l’incapacità, cioè, di elaborare un progetto di vita che rifletta la propria personalità. Il desiderio di promozione del sé stenta, non riesce ad orientarsi, essendo condizionato dall’allarme sociale e dall’assenza di modelli attraenti o credibili. Il senso d’identità non avanza, ma arretra. Alla precocità non solo tecnologica dei giovani non corrisponde un’eguale capacità di sviluppare o interiorizzare domande e risposte di senso. Da qui la difficoltà dei ragazzi a gestire la sfera degli affetti e dei sentimenti e la loro incompetenza emotiva. Non a caso, a proposito degli adolescenti di oggi, nel libro parlo di “sorriso smarrito” e analizzo i contenuti del “desiderio malato o sopito”.

Lei ha maturato un’esperienza trentennale in campo minorile, sostenendo battaglie legislative importanti e pubblicando numerosi contributi scientifici in materia. Questo, però, è un volume un po’ diverso in cui l’approccio multidisciplinare, di natura pedagogica e psicologica, viene da lei collocato in un contesto spirituale ben preciso. Com’è maturata la scelta di affrontare temi così delicati e complessi?

Più che una scelta si è trattato di un processo fisiologico in due fasi. La prima caratterizzata dal progetto sperimentale realizzato presso l’Istituto Penale Minorile di Catanzaro. Nel libro vengono divulgati i risultati e la metodologia del percorso destinato ai giovani detenuti il quale si proponeva, essenzialmente, due obiettivi. Adoperare la pedagogia dei diritti quale strumento capace di veicolare l’interiorizzazione delle regole. Sfatare il luogo comune secondo cui non è possibile parlare di fede ai ragazzi cosiddetti difficili. All’interno di questo progetto, che ha innescato anche un dialogo interreligioso tra detenuti cristiani e musulmani, sono state gettate le basi di una vera e propria pedagogia dell’anima per giovani in difficoltà. Nella seconda fase, dopo aver analizzato i “nodi interiori” emersi durante l’esperienza vissuta in I.P.M., mi sono convinto della necessità di una terapia psicospirituale da rivolgere ai giovani più fragili. Da qui l’idea che ha ispirato Il Giardino invisibile.

A proposito dei percorsi spirituali per giovani che vivono situazioni di disagio mi è parso di capire che la sua posizione sia abbastanza critica, o mi sbaglio?

No, non sbaglia. Se si osserva l’approccio cattolico ai giovani di oggi sembra quasi che la Chiesa si rivolga ai ragazzi “già in cammino”, ai quali riserva la possibilità di incanalare la propria fede, già viva e feconda, aderendo alle proposte spirituali tradizionali. Nei confronti dei giovani con problemi di marginalità o di devianza, che vivono situazioni di sofferenza esistenziale, si consuma paradossalmente una profonda ingiustizia. Lo Stato laico, infatti, non favorisce percorsi spirituali in loro favore, mentre il mondo cattolico, pur mostrandosi apparentemente sensibile, adotta di fatto interventi timidi e poco incisivi.  Eppure sono proprio i dimenticati che richiedono risposte di senso ed è soprattutto ai giovani che si sentono persi che la Chiesa dovrebbe rivolgere la sua attenzione, utilizzando un linguaggio spiritualmente attraente e attivando sportelli di ascolto individuale o di supporto personalizzato. E’ giunto il momento che la proposta di fede, un po’ tiepida e poco allettante, rielabori le forme e rinnovi il fervore dei contenuti, riappropriandosi delle sue radici storiche. Si sottovaluta, ad esempio, l’elevato potere attrattivo che la meditazione e la preghiera contemplativa dell’Oriente cristiano potrebbero esercitare nei confronti delle nuove generazioni.

Mi è parso di capire che, nella prospettiva da lei tracciata, la custodia del cuore assuma una valenza importante.

Basta scorrere l’elenco delle malattie spirituali o dell’anima individuate nei primi secoli dai monaci del deserto per accorgersi come molte di esse siano all’origine dei malesseri che affliggono i giovani e gli adulti del terzo millennio. La vanità, l’orgoglio, la rabbia, la paura, la noia, il piacere, il benessere, il potere, sono parole chiave con cui oggi tutti noi siamo costretti a confrontarci e a fare i conti, senza comprenderne il senso e non riuscendo a leggerne il significato spirituale. Per raggiungere l’esichia, la pace interiore, la calma, la tranquillità, o lapatheia, lo stato di quiete, di libertà, di salute del cervello, dobbiamo custodire il nostro cuore. La vigilanza del cuore è conoscenza di sé stessi e dell’uomo interiore, ma è anche attenzionealla purezza, ai pensieri negativi e alle inquietudini esterne. Nel tempo dei social network l’insorgere di pensieri o sentimenti spregevoli è un fenomeno largamente diffuso, riconducibile anche alla trasformazione del linguaggio che ha assunto forme troppo invasive. L’interazione telematica e mediatica, cui siamo continuamente sottoposti, non ci permette di filtrare o metabolizzare in tempo utile gli stimoli e i contenuti mentali esterni, sicché finiamo per recepire ed assorbire parole e immagini nocive. Come osservano gli esperti «noi siamo ciò che pensiamo», dobbiamo abituarci, quindi, a depurare il cuore e la mente dai pensieri negativi che ci assalgono, sostituendoli con abitudini e convinzioni positive.

Ci può illustrare, infine, attraverso quale itinerario le terapie psicospirituali incontrano le neuroscienze?

La strada indicata dai Padri del deserto, in realtà, non è molto diversa da quella che percorrono le neuroscienze moderne. Per averne contezza occorre volgere lo sguardo agli studi epigenetici che, avvalendosi anche delle nuove tecniche di neuroimaging, analizzano il rapporto tra cervello e mente, pensieri e abitudini, linguaggio e comportamento. Le “abitudini del pensiero”, al pari dell’ambiente di vita e delle esperienze vissute, modificano l’uomo interiore, cambiano il modo stesso di percepire e recepire la realtà, amplificando o inibendo l’espressione genetica. Il linguaggio, in virtù del suo potere creativo e suggestivo, gioca un ruolo primario nella costruzione dei pensieri. L’essere umano, specie se molto giovane, in quanto “soggetto parlante” (che dialoga con sé stesso e con gli altri), è chiamato quindi a preservare il cuore dall’influsso dei pensieri negativi, prestando molta attenzione al linguaggio (proprio e/o altrui), oltre che alle parole, alle immagini e ai suoni che provengono dall’esterno. La parte conclusiva del libro si occupa di questi aspetti, approfondendo il nesso tra psicologia del cuore e neuroplasticità del cervello.

* Sociologa, Psicologa – Psicoterapeuta, esperta nel settore penale e minorile, Presidente Consolidal Sezione di Roma

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